di ANTONIO SPOSITO
Oggi è morto il calcio, al di là del tifo.
Irripetibile, come un quadro del Caravaggio. Uomo fragile e sensibile che ha pagato sulla sua pelle le proprie debolezze.
Scrivere di Diego è difficile, si è detto tutto di lui. In un turbinio si affastellano emozioni, ricordi. Si può soltanto aggiungere che rappresentava Napoli non solo per le gesta sportive ma perché ne ha incarnato l’anima contradditoria, travagliata, di una città in bilico, sempre oscillante tra nobiltà e miserie umane, una città duale.
Curzio Malaparte nel suo romanzo “La Pelle” affermò: “Non potete capire Napoli, non capirete mai Napoli.” Egli soleva dire che Napoli non è una città ma un mondo! In fondo alcune zone del mondo si somigliano, si sovrappongono. In tal senso, Diego con quella sua espressione da scugnizzo, con il suo modo di fare, era più napoletano dei napoletani.
Diego era Napoli con tutti i suoi eccessi, così come lo è stata la sua vita, una continua altalena tra le stelle, come gli dei, e i mortali, con le sue ricadute. Il talento illumina la vita, sublima l’esistenza, riempie il mondo di bellezza, la stessa bellezza che salverà dalla brutalità. Ogni sua giocata era poesia, una pennellata, arte in tutte le sue declinazioni.
Cosa vuoi che sia caro Diego la tua dipartita, eri già la “mano de dios”, ora sei al suo cospetto e credo che anche lui rimarrà estasiato dalle tue prodezze.
Ciao Diego.