HOMELESS: LA VITA CHE NON C’E’

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di ELISABETTA FESTA

Nell’Unione Europea centinaia di migliaia di uomini e donne dormono in strada o in rifugi d’emergenza ogni notte. Si stima che il numero dei “senzatetto” sia aumentato del 70% rispetto a dieci anni fa.

Lo rivela la “Quarta panoramica sull’esclusione abitativa in Europa” di Feantsa e Fondazione Abbé Pierre. Questi dati mettono in evidenza la diminuzione dell’efficacia della lotta dell’UE contro la povertà. Nel report si legge: ”E’ attraverso la mobilitazione di una solida base giuridica, di una volontà politica e di una pianificazione strategica che l’obiettivo di porre fine alla condizione di senzatetto, smetterà di essere una fantasia diventando finalmente un imperativo per la dignità umana nonché una prova della credibilità del progetto sociale europeo”.

Bagno comune in un rifugio di emergenza a Breslavia, Polonia (Foto: Dariusz Dobrowolski, report “Fourh overview of housing exclusion in Europe”).

In questo studio viene altresì messo in discussione anche il tema degli “alloggi d’emergenza” che hanno purtroppo un carattere di temporalità, inadatti, quindi” a risolvere il problema in maniera definitiva. Di fatto, il “diritto all’alloggio” è un diritto fondamentale che dovrebbe essere garantito a tutti. Dai dormitori sovraffollati alle sistemazioni “umanizzate”, i servizi esistenti tendono a non soddisfare le esigenze degli utenti, causando effetti dannosi e prolungando a dismisura l’esperienza di disagio dei “senzatetto”. In sostanza, ciò che viene messo in discussione nel documento non è la sistemazione emergenziale in sé, quanto l’utilizzo diffuso e istituzionalizzato degli “alloggi di emergenza” come principale e unica risposta a tale disagio, una situazione, invece, che dovrebbe essere di passaggio, per procedere poi a reindirizzare i “senzatetto” verso soluzioni più appropriate e definitive.

Freek Spinnewijn (Direttore di Feantsa) e Christophe Robert (Amministratore Delegato della Foundation Abbé Pierre) condannano a gran voce questa situazione, domandandosi cosa possa mai significare il termine “coesione sociale” quando più di un “senzatetto” muore ogni giorno per le strade dei Paesi europei. (Fonte: osservatoriodirittiumani.it).

Dando uno sguardo al nostro Paese, si stima che in Italia vi siano tra le 49.000 e le 52.000 persone senza dimora che vivono in strada, in sistemazioni di fortuna o in strutture di accoglienza notturna. Tra queste, gli uomini rappresentano l’85,7%, coloro che vivono da soli il 76,5%, gli stranieri il 58,5%. L’età media di questa popolazione è di 44  anni, mentre la maggior parte (esattamente il 75,8%) ha meno di 54 anni. Le persone senza dimora sono particolarmente concentrate in grandi città come Milano (10.000), Roma (8000), Palermo (3000) e Firenze (2000). (Fonte: recentiprogressi.it).

Al di là dei dati che ci mostrano l’entità del problema non dobbiamo trascurare il fenomeno sociale che vi si cela. Il vissuto di queste persone, la complessità delle loro storie, l’emarginazione che vivono quotidianamente a causa dell’indifferenza e/o del rifiuto generale (non piace, infatti, vederle in centro lì dove la città deve essere bella ma neanche nelle periferie), sono aspetti altrettanto centrali da affrontare. La povertà ci infastidisce, ci limitiamo il più delle volte, se siamo benevoli, a fare dell’elemosina, ma tutto si ferma a tale gesto. Certo esistono come abbiamo visto i servizi per i “senza dimora” erogati in modo encomiabile dalle “organizzazioni no profit”, le quali assicurano non solo gli alloggi ma anche l’assistenza primaria e sanitaria.

Il problema è che anche questo approccio sembra essere strutturato per rispondere alla situazione emergenziale, per il “qui ed ora”, mentre bisognerebbe mettere in campo politiche strutturali di “reinclusione sociale” che garantiscano supporto psicosociale, sostegno al reddito, inserimento lavorativo.

Innovazione e nuova progettualità devono farsi strada perché non si tratta soltanto di salvare le vite dei “senzatetto” ma anche di costruire per loro un percorso verso una esistenza più gratificante. È un obbligo in una fase in cui la crisi sociale continua a essere acuta, specie con l’avvento dell’epidemia Covid 19. Attualmente invece gli “homeless” continuano a sussistere in un mondo parallelo, una marginalità scomoda vissuta da esseri umani “invisibili” nella vita e nella morte.