di DANIELA SPERANZA
INTERVISTA
Una bella realtà é sorta da alcuni anni nell’hinterland napoletano per il contrasto alla violenza di genere: l’Associazione “Frida Kahlo-la città delle pari opportunità“, con il correlato Sportello Antiviolenza “Le Porte Di Frida”.
Ne parliamo con il Presidente dell’Associazione, dottoressa Gabriella Notorio (sociologa e criminologa, operatrice dello Sportello) e con la dottoressa María Trapani (sociologa, assistente sociale specialista, tutor DSA ed operatrice dello Sportello).
1) Com’è sorta la vostra associazione e da chi è composta?
L’Associazione è sorta il 19 novembre del 2006 con un altro nome “Frida Kahlo-La Città delle Donne”. Si trattava di un’associazione culturale voluta da un gruppo di 7 donne – tra cui anche alcune sociologhe – impegnate professionalmente e politicamente sul territorio di Marano di Napoli. L’obiettivo era realizzare progetti ed attività culturali volti a promuovere la partecipazione dei cittadini residenti alla vita civico-sociale attraverso l’organizzazione di mostre, dibattiti, convegni, feste, incontri a tema, seminari, conferenze ed altre iniziative di informazione e diffusione, allo scopo di sensibilizzare le istituzioni su proposte contenenti indicazioni di politica sociale, sanitaria, educativa, formativa e legislativa, con particolare riferimento alle problematiche relative alle cosiddette categorie “deboli” (donne, bambini, immigrati, disabili). Inoltre, nel corso degli anni, sono stati realizzati vari interventi di animazione, miranti all’implementazione delle tradizioni popolari, dell’arte e della cultura. Pian piano l’interesse per la condizione femminile ha assunto sempre più rilevanza, infatti, sono state trattate questioni inerenti quali lavoro, salute, violenza subita. Nel 2012 è nato poi lo Sportello Antiviolenza “Le Porte di Frida” che in un primo momento offriva prevalentemente una funzione di ascolto, divenuto poi servizio antiviolenza, come lo è ancora attualmente. Lo Sportello è dedicato alla memoria di Enzina Cappuccio e Fiorinda Di Marino (due vittime di femminicidio appartenenti al territorio), che – grazie ad una delibera comunale che ha assegnato a noi la gestione – opera come servizio pubblico svolto da operatrici volontarie non retribuite, cui basta la gratificazione provata nel salvare vite di donne e bambini vittime di violenza. Garantiamo ascolto, assistenza, consulenza psicologica, legale, motivazionale, la presa in carico delle vittime-utenti e supporti di vario tipo. Il giorno di apertura è il giovedì, alternando mattina e pomeriggio in base al mese. Le donne che si rivolgono a noi giungono inviate dalle Forze dell’Ordine, dal Servizio Sociale, da gruppi amicali informali. C’è anche chi ha rintracciato il nostro Sportello sulle pagine Facebook appositamente realizzate, “Frida Khalo Pari Opportunità” e “Le Porte di Frida-Sportello Antiviolenza”, altre ancora hanno contattato il nostro numero telefonico disponibile h.24. Dal 2015 la denominazione dell’Associazione è mutata in “Frida Kahlo, la città delle pari opportunità”, con modifiche dello statuto e regolare iscrizione al “Registro Regionale del Volontariato”. L’Associazione annovera tra i suoi iscritti avvocati, psicologhe, sociologhe, psicopedagogiste, assistenti sociali, life coach e operatrici di prima accoglienza, tutti impegnati nel prevenire e contrastare la violenza sulle donne.
2) Quali sono state le principali difficoltà riscontrate?
Diverse sono state le difficoltà che abbiamo riscontrato sul territorio nel corso della nostra attività, sia dal punto di vista strutturale che organizzativo. A livello strutturale gran parte dei problemi sono connessi alla sede fisica del nostro Sportello. In passato, per dimostrare che non eravamo ben accette, dopo aver subito intimidazioni, ci hanno devastato la struttura, sita in Via Caracciolo, Marano di Napoli, distruggendo i locali, la biblioteca, i bagni, gli infissi, facendoci ritrovare, inoltre, anche un gatto morto. La nostra attività dava fastidio. Previa denuncia si aprirono delle indagini ma i colpevoli restano ancora ignoti. Ci sono stati affidati così nuovi locali in Palazzo Merolla, ma poiché l’edificio è oggetto di una futura riqualificazione abbiamo problemi di sicurezza, visto che porte e infissi sono rotti. Problemi puntualmente segnalati al Comune di Marano che a tutt’oggi non ha ancora fornito risposte adeguate. Sul piano organizzativo, la questione più complessa riguarda la comunicazione all’utenza. Pur svolgendo un servizio di pubblico interesse i contatti e i riferimenti dello Sportello non sono inseriti sul sito del Comune, pertanto, spesso le donne, non essendo a conoscenza della nostra presenza sul territorio, arrivano dopo essersi già rivolte ad altri Sportelli e Centri. Ci occupiamo della comunicazione online, inoltre, periodicamente stampiamo locandine da affiggere nei luoghi pubblici, presso Asl, Carabinieri, Servizio Sociale. Ci aspettiamo maggiore attenzione da parte dell’Ente comunale che deve riconoscere i nostri sforzi, la nostra attività volontaria, per assicurare un servizio di prima necessità di cui ci facciamo carico in esclusiva.
3) Cosa possono fare le società ed il mondo della cultura per arginare il fenomeno della violenza?
Il fenomeno della violenza è un “fatto sociale” complesso, per questo motivo, per essere arginato, ha bisogno di maggiore attenzione da parte delle istituzioni soprattutto locali. Secondo il “principio di sussidiarietà” i servizi possono fornire risposte adeguate se erogate dall’Ente più vicino al cittadino, ovvero il Comune, di cui si auspica il massimo impegno ma che in realtà è spesso assente rispetto al fenomeno della violenza di genere. A dimostrazione di ciò vi è da aggiungere che i fondi presenti nel bilancio comunale non vengono investiti né nei Centri, né negli Sportelli Antiviolenza, costituiti da persone sensibili che vi operano incessantemente in modo volontario. Quindi, sì! Per arginare il problema c’è bisogno non soltanto di un Ente locale presente ma anche di una “rete a maglia larga” tessuta dai Comuni del napoletano, al fine di creare un protocollo operativo univoco e omogeneo che dia risposte tempestive e qualificate sul territorio interessato. La scuola poi rappresenta un’istituzione strategica per limitare un fenomeno che purtroppo è in continua crescita. A tal proposito, va detto che bisognerebbe introdurre nella didattica ordinaria spazi dedicati all’”educazione civica” che comprenda approfondimenti sui diritti e sul rispetto per il prossimo. Riteniamo – come abbiamo già ampiamento esposto nella nostra amata “Rivista Italiana sul Femminicidio”, “Le farfalle volano ancora”, presente online sul sito Calaméo dal 25 novembre del 2020, a cadenza mensile – che manchi ancora negli istituti scolastici l'”educazione emotiva e affettiva” individuata dalla Convenzione di Istanbul, come principale strumento in grado di prevenire e contrastare la violenza sulle donne e di genere. A partire dalle classi elementari, nel pieno rispetto delle età e mediante ore di laboratorio, curriculari e non, occorre lavorare, come prima cosa, sulla conoscenza delle proprie emozioni, fornendo agli studenti strumenti adeguati per imparare a gestire quelle più intense (come, ad esempio, la rabbia), che da adulti possono connotare negativamente le relazioni sentimentali. Aiutare i giovani a raggiungere la “competenza empatica”, ovvero, il riconoscimento delle emozioni degli altri calandosi nei loro panni, può costituire un argine alla violenza. E’ necessario superare la classica e rigida divisione dei ruoli sociali, la visione arcaica della disparità uomo-donna, una parità ancora da raggiungere sia in ambito lavorativo, sia nel privato.
4) Progetti a medio e lungo termine.
Per quanto riguarda i progetti a medio e lungo termine, sono mesi che riflettiamo su diverse iniziative non ancora messe in campo causa Covid-19, ma ci sono! Si intende porre in essere un “gruppo di auto-mutuo-aiuto” che consenta alle donne di condividere un problema comune incontrandosi in un luogo familiare avvertito come proprio, dove possano raccontare le proprie esperienze traumatiche, le difficoltà incontrate per uscire dal circuito della violenza. In questo modo viene a crearsi un gruppo che fa insorgere nelle donne forza, autonomia, competenze e, soprattutto, la voglia di immaginare un futuro nuovo. I “gruppi di auto-mutuo-aiuto” attraverso un doppio lavoro su se stessi e su gli altri, concretizzano il principio dell’“helper therapy”, secondo il quale aiutando gli altri si aiuta anche se stessi. A condurre il gruppo vi è il “facilitatore”, un “professionista del sociale”. L’obiettivo è realizzare l’autonomia sviluppando l’“empowerment” in ogni donna. In passato abbiamo già realizzato con la nostra “life coach” un’attività analoga chiamata il “Cerchio delle donne”, finalizzata a incidere sulla propria persona, sul senso del perdono e della colpa, sensazioni presenti nelle vittime, che in molti casi subiscono l’inversione delle funzioni da parte del “maltrattante”, il quale fa ricadere su di loro le sue colpe, provocando in esse effetti psico-sociali di lunga durata. Altro progetto è il libro costituito dai numeri della nostra rivista mensile da pubblicare in due volumi. Una parte del ricavato sarà utilizzato per creare un fondo associativo che consenta di aiutare un maggior numero di donne, mentre la restante parte verrà investita per ulteriori pubblicazioni. Il libro poi, oltre a promuovere il ricordo delle vittime, grazie ad un’analisi socio-criminologica dei casi trattati di femminicidio, si inserisce nel progetto “La Biblioteca delle donne”, realizzata nella sede dello Sportello assieme ai laboratori di genere territoriali. Nel corso degli anni sono state attivate presentazioni di libri sulla tematica in questione cui hanno partecipato anche gli uomini. La Rivista vuole essere un altro prodotto figlio della nostra attività.
5) Avete considerato la possibilità di “fare rete” con altre realtà? Se si, quali potrebbero essere i vantaggi, a vostro avviso?
La “rete” è fondamentale soprattutto se si opera nel “terzo settore”. “Fare rete” significa praticare una strategia di lavoro, tessendo un collegamento tra le differenti organizzazioni per conseguire obiettivi che singolarmente ognuna non sarebbe in grado di raggiungere. “Rete” significa, quindi, più forza e maggiore potenziale di crescita, per offrire prestazioni efficaci rispetto alla crescente complessità dei bisogni sociali, familiari e personali. Le donne che aiutiamo, spesso prive di “reti familiari”, cercano “reti esterne”, ovvero sociali, atte a sopperire vuoti relazionali significativi. Nessuno si salva da solo! La “rete” è fondamentale! Attraverso essa è possibile attivare la condivisione del problema e l’eventuale risoluzione. Possiamo immaginare la “rete” come una catena di montaggio dove ognuno svolgendo la sua parte produce risultati efficaci in tempi rapidi. Per noi la “rete” è la base attraverso la quale ci relazioniamo sul territorio. In riferimento a tale convincimento abbiamo messo in atto Protocolli di Intesa con le Forze dell’Ordine e con il Servizio Sociale del Comune di Marano, proprio per dare alle donne che chiedono aiuto risposte tempestive e individuali. Molte sono state le emergenze che abbiamo fronteggiato con il nostro Sportello, donne che, attraverso il numero di reperibilità disponibile h.24 mantenuto a nostre spese, ci hanno contattato nel cuore della notte, nei periodi di festività. Diversi sono stati i progetti cui abbiamo aderito grazie alla “rete”. Uno di questi, realizzato nel periodo delle restrizioni dovuti alla pandemia da Covid-19, è il “Tampone solidale” per i cittadini più bisognosi, oppure il “Natale e Pacco solidale”, con la raccolta doni per anziani delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) e per i bambini con disagio sociale. Tutti hanno potuto trovare un dono sotto l’albero, vivendo così un Natale più dolce e sereno, un progetto realizzato insieme alle associazioni Aiga Napoli Nord, Marano Lab, Acus, un’unica grande “rete sociale”.