BARBARA BARTOLOTTI E LA SUA VOGLIA DI VIVERE

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di ELISABETTA FESTA

Per non dimenticare cosa ha commesso Giuseppe Perrone”. Questa la frase che chiude il libro: “Una storia Barbara….Libera di vivere”, scritto da Barbara Bartolotti vittima di un efferato femminicidio.

La tragedia si compie a Marineo, una località in provincia di Palermo, il 20 Dicembre del 2003. Barbara e il suo collega, il Perrone per l’appunto, si incontrano per motivi di lavoro, come era avvenuto già altre volte, questa almeno era la convinzione di Barbara, felicemente coniugata con due figli e uno in arrivo proprio in quel periodo.

Ma quell’incontro voluto con tanta insistenza da parte di lui si rivelò essere l’inizio di un vero e proprio incubo. Barbara fu improvvisamente presa a martellate prima in testa e poi pugnalata all’addome mentre Perrone pronunciava: “Se non ti posso avere! E’ meglio che ti uccido”. Furono le ultime parole che Barbara riuscì a sentire prima che il suo corpo sprofondasse in un mare di dolore, acuitosi a dismisura quando Giuseppe Perrone cosparse il suo corpo di combustibile agricolo dandogli fuoco. Ora stava bruciando e quel dolore già insopportabile divenne atroce, l’unica speranza di sopravvivere era fingersi morta e così fece. La sua straordinaria forza le permise di chiedere soccorso riuscendo nonostante tutto a raggiungere la strada e a salire nella macchina di alcuni ragazzi che prontamente la portarono in ospedale.

Lì dovette subire, dopo essersi risvegliata dal coma, diversi interventi chirurgici e vivere lunghi periodi di degenza ospedaliera, massacrata nella carne e nello spirito anche per lo strazio di aver perso quel meraviglioso esserino che aveva in grembo, tentando, inoltre, di non impaurire gli altri suoi figli. Giuseppe Perrone fu condannato a 21 anni di reclusione che tra riti, attenuanti e altri dispositivi giuridici divennero quattro, scontati per giunta ai domiciliari e nemmeno tutti, grazie all’indulto previsto dalla Legge n.241/2006 che lo liberò definitivamente. Poco dopo la scarcerazione trovò lavoro presso una filiale della banca Unicredit e contrasse matrimonio. Questo, dunque, il triste epilogo.

Ma Barbara non si è arresa, ha, infatti, creato un’associazione per aiutare altre donne vittime incolpevoli di violenza come lei che si chiama “Libera di Vivere”. Nel suo libro denuncia:” Chi mi sconta le cicatrici che lui mi ha inflitto, chi mi ridarà il bambino che lui mi ha ucciso e la serenità che mi ha rubato, chi mi insegnerà a non avere paura e a dormire la notte senza incubi, chi dirà ai miei figli di non avere paura del volto della mamma?…..E conclude: “Spesso i fatti, o per meglio dire i misfatti, che riempiono le pagine di cronaca nera e dei talk show televisivi del dolore, sono accadimenti che interessano, commuovono, coinvolgono una larga fetta di persone, ma spenti i riflettori le vittime delle violenze restano isolate.

Quante Barbara ci sono nel mondo che soffrono inascoltate nel corpo e nell’anima? Quante vittime occultano agli altri e a loro stesse le lacerazioni che ne striano l’anima? Vi sono ferite che vanno oltre il dolore fisico.

Era il 2003 siamo nel 2022 le cose non sono poi così cambiate. Tante sono ancora le donne che muoiono per mano di uomini violenti, Barbara alla fine si è affidata alla giustizia divina, ma sarebbe il caso che la giustizia avesse una sostanziale matrice terrena.