di ANTONIO SPOSITO
INTERVENTO DI ANTONIO SPOSITO AL CONVEGNO “IL WELFARE DI FRONTE ALLE SFIDE GLOBALI: SOSTENIBILITA’ CO-PROGETTAZIONE INNOVAZIONE” (Napoli, 20 e 21 ottobre 2022).
Credo che la qualità delle Politiche Sociali (rientranti nelle Policy), assieme ai diritti umani e civili ed alle questioni poste dalla bioetica, sia un indicatore significativo del grado di civiltà di un Paese, più dello stesso PIL.
A conferma di ciò basta ricordare il discorso inerente proprio al PIL e alla qualità della vita declamato da Robert Kennedy nel marzo del 1968 all’Università del Kansas, assassinato tre mesi dopo da Sirhan Sirhan sedicente terrorista palestinese.
Bisogna riconoscere obiettivamente senza ipocrisie che alla qualità va associato il quantum di denaro disponibile per finanziare le Politiche Sociali. Tuttavia il problema non attiene soltanto all’ammontare della spesa pubblica destinata al Welfare, ma al come vengono impiegate le risorse disponibili.
I dati relativi al 2021 dicono che l’Italia ha un PIL ammontante a 1781 miliardi di euro, una spesa pubblica inerente al Welfare di 632 miliardi (33,5% del PIL), a sua volta così ripartita: Previdenza 309,8 miliardi (49% della spesa welfare); Politiche Sociali 125,6 (20%); Sanità 124,5 miliardi (20%); Istruzione 73 miliardi (11%) (Fonte: Rapporto Think Tank “Welfare Italia” da ILSole24ore).
L’aspetto che più colpisce della spesa sociale è la sperequazione territoriale. Si va dai 22 euro pro-capite della Calabria (Vibo Valentia è la provincia la cui spesa è di 6,00 euro a cittadino) ai 508 euro della Provincia autonoma di Bolzano, a fronte di una media pro-capite nazionale di 106 euro. Nel Nord si spendono 130 euro e nel Mezzogiorno poco più di 79 euro a persona. In Campania la spesa pro-capite è di 56 euro, penultima nella graduatoria nazionale, prima della Calabria fanalino di coda. La sperequazione è ancora più accentuata se si osservano i dati a livello di Ambiti Territoriali (associazione di più comuni), siti all’interno della stessa regione, responsabili della programmazione sociale (Fonte: Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali).
I dati evidenziano che rispetto alla Costituzione i cittadini italiani non sono più uguali portatori degli stessi diritti, il che sancisce la fine dello stesso “Stato di diritto”.
Il nostro ordinamento prevede che lo Stato legiferi in maniera esclusiva nella “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (LEP – Livelli Essenziali delle Prestazioni). Lo stabilisce l‘articolo 117 (comma “m”) della Costituzione (modificato con la riforma costituzionale entrata in vigore nel 2001) che recita: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Quindi, lo Stato centrale definisce gli standard di prestazioni e servizi sociali adeguati alle esigenze dei cittadini indipendentemente dal luogo di residenza, erogando le risorse necessarie agli enti locali che ne dispongono autonomamente per garantirli. I LEP fanno riferimento ai servizi a carattere sociale, diversamente dai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) che riguardano invece il campo sanitario.
Pertanto, ai cittadini italiani, abitanti anch’essi della complessa società postmoderna che sta transitando dallo stato “liquido” (Bauman) a quello “gassoso” (Castells e Wellman), laddove alle forme endemiche di disagio se ne aggiungono di nuove, vanno assicurate risposte istituzionali integrate, interdisciplinari e multidisciplinari fornite da professionisti che operano in sinergia, le uniche adeguate a fronteggiare la menzionata “complessità”.
Rispetto a tale necessità non posso esimermi, quindi, di squarciare il velo di falsità che attanaglia i presenti in sala, rappresentanti delle istituzioni, di ordini professionali, tra cui psicologi e assistenti sociali, delle associazioni professionali dei sociologi. In questo consesso sembra che vadano tutti d’amore e d’accordo, invece, vi è chi ipocritamente accoltella alle spalle.
La mia affermazione è suffragata dai fatti che riguardano l’iter della Legge Regionale 13/2017 “Istituzione del servizio di sociologia del territorio della Regione Campania”, la cui unica “colpa” è stata quella di innalzare e integrare il livello di civiltà assistenziale della Campania, non certo di escludere altre figure professionali.
Chi si è sentito minacciato dalla menzionata legge, nel rimestare dentro il proprio misero e limitato orticello, ha tentato nell’ultima legislatura Caldoro di affossarla (l’Ordine degli Psicologi), ciò nonostante, la stessa legge è stata ripresentata e promulgata nella prima legislatura De Luca, fatta poi naufragare dall’Ordine degli Assistenti Sociali attraverso segnalazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri del governo Gentiloni, che in data 21-27 luglio 2017 ha notificato il ricorso alla Corte Costituzionale, la quale ha sostanzialmente riconosciuto la validità dell’impianto normativo, eccependo soltanto sull’articolo 4 (norma finanziaria) che non indicava i costi del servizio. Aggiungo che sull’articolo 4 la Corte dei Conti (istituzione deputata alle analisi degli aspetti economici concernenti la spesa pubblica) non aveva addotto alcuna eccezione.
La condotta del CNOAS (Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali) va letta e interpretata come una sorta di ripudio agito dai figli (gli assistenti sociali) nei confronti dei genitori (i sociologi e la sociologia). In realtà, non va dimenticato che gli stessi servizi sociali, in termini di “sociologia applicata”, nascono dalla teoresi e dalla ricerca scientifica di matrice sociologica. Evidentemente gli assistenti sociali, che indubbiamente hanno maggior peso e potere politico rispetto ai sociologi, sconfessati anche dalle valutazioni complessive avanzate dalla Corte Costituzionale, nel fare guerra a questi ultimi, hanno maldestramente cercato di compensare un atavico complesso di inferiorità provato nei confronti degli stessi sociologi. Freud l’avrebbe definito “l’invidia del pene”, termine caro agli psicanalisti.
Tanto per esser chiari, in qualsiasi contesto istituzionale pubblico e privato, quando si parla di “sociale” è obbligatorio servirsi dei sociologi, senza “se” e senza “ma”, altrimenti si sostanzia una contraddizione logica di cui qualcuno deve assumersi la responsabilità e pagarne le conseguenze.
Sempre per evidenziare ignobili contraddizioni, l’indagine conoscitiva condotta dal Dipartimento ANS Campania (diretto dal sottoscritto nel periodo 2013-19), ha portato alla luce gli aspetti gestionali inerenti ai Piani di Zona Territoriali della Regione Campania deputati ad intervenire sul disagio sociale. Alcuni PZT non solo sono sprovvisti della figura del sociologo ma sono addirittura diretti da geometri e vigili urbani o da altre figure non aventi nessuna competenza in materia, né titoli specifici.
Per non parlare del paradosso inerente ai numerosi bandi di concorso finalizzati alle assunzioni di operatori degli stessi PZT che non prevedono l’impiego dei sociologi, assegnando arbitrariamente le competenze ad altre figure professionali. In più è emerso che gli operatori dei Piani di Zona (psicologi, sociologi, assistenti sociali) sono precari senza alcuna stabilizzazione, mal pagati, remunerati saltuariamente. Per tutto ciò sarebbe auspicabile, nonché interesse di tutti, che questa guerra tra “poveri” finisse.
In conclusione, ritornando alla “complessità”, ribadisco l’assoluta necessità di fornire risposte integrate ai cittadini investiti dalle diverse forme di disagio sociale. Per cui, stamattina faccio faccio finta di non essermi ancora svegliato, di essere ancora in preda ad un sogno che vi sottopongo: la costituzione, nel pieno rispetto delle identità professionali e dei percorsi formativi, di un albo unico denominato social worker che racchiuda tutti gli helping professional.
Sono consapevole che la mia è una utopia, allora vi chiedo: “Cosa sarebbe un sociologo senza quelle utopie che gli consentono di immaginare un mondo migliore in cui credere e per cui battersi?”