di MARA PRINICIPATO
L’uranio impoverito è un metallo pesante altamente nocivo per il corpo umano utilizzato per fabbricare munizioni e proiettili.
Il numero di militari contaminati da tale sostanza radioattiva che hanno prestato servizio in vari teatri di guerra, ammonta a circa 7.500, di cui circa 400 sono deceduti. A tutt’oggi non esistono statistiche ufficiali istituzionali perché il Ministero della Difesa non riconosce il nesso causale tra l’esposizione a determinati fattori di rischio e l’insorgenza di tumori.
Dal 1994 le autorità militari italiane sono a conoscenza dei pericoli derivanti dall’uranio impoverito, giacché il Pentagono diffuse il video “warming ‘94” che illustra i rischi dovuti alla contaminazione, ciò nonostante i militari italiani non sono mai stati avvisati né, di conseguenza, addestrati ad adottare misure precauzionali. I militari in missione entrati in contatto con questa sostanza segnalano di avvertire un odore chimico emanato dalla propria pelle, percepito anche nei luoghi di permanenza, caratterizzati per lo più da carenze igieniche (assenza di bagni e di detergenti).
Il 31 dicembre 2019, per iniziativa di un gruppo di vittime e dei relativi familiari, è stata fondata l’A.N.V.U.I. (Associazione Nazionale Vittime dell’Uranio Impoverito), il cui obiettivo è educare al rischio patologico, tutelare il personale interessato, promuovere attività di studio e ricerca con annesse proposte di tipo legislativo. A conferma dell’impegno profuso dall’A.N.V.U.I., il 18 e 19 settembre 2022 è stato organizzato a Pescina (L’Aquila) il primo convegno dedicato alla memoria delle vittime da uranio impoverito.
La strada da percorrere per tutelare e sostenere i soldati italiani che servono la propria Patria è ancora lunga, si spera che le istituzioni si assumano le proprie responsabilità, in modo da non dover definire anche questa tragedia una “strage di stato”.