di ELISABETTA FESTA
Le bande giovanili sono una realtà in forte aumento in Italia.
Esse sono originate prevalentemente da situazioni di disagio famigliare o sociale, da mancata integrazione e carenza di modelli educativi di riferimento, piuttosto che da legami con la criminalità. Un disagio che si esprime attraverso violenza gratuita e insensata, agita spesso contro coetanei, e reati commessi in gruppo che determinano il cosiddetto “effetto branco”.
Da tale fenomenologia nasce lo studio delle “Bande giovanili in Italia”.
Una mappatura a livello nazionale del fenomeno è stata elaborata da Transcrime (il centro di ricerca interuniversitario sulla criminalità transnazionale delle Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Alma Mater Studiorum di Bologna e dell’Università degli Studi di Perugia. Lo studio si basa sui dati rilevati attraverso la collaborazione del Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, della Struttura Interforze (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia penitenziaria) e del Dipartimento di Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia.
L’identikit di queste bande restituisce la fotografia di gruppi diffusi in tutte le regioni, con leggera prevalenza nel Centro-Nord, composti generalmente da circa 10 ragazzi tra i 15 e i 17 anni (il più italiani), che non hanno un’organizzazione strutturata, né distinzione di compiti. Tali gruppi compiono azioni violente, spesso senza moventi specifici, quali aggressioni, lesioni, atti di bullismo, vandalismo, disturbo della quiete pubblica, fino ad arrivare a reati come traffico di stupefacenti e rapine.
La mappatura di Transcrime individua 4 macro-modelli di banda giovanile, definiti anche in base all’attività sui “social” dei loro componenti, alle loro connotazioni socio-anagrafiche e alla ripetitività dei reati commessi: 1) Il più diffuso è quello caratterizzato dalla mancanza di organizzazione verticistica, composto in maggioranza da ragazzi minorenni italiani tra i 15 e i 17 anni, che infieriscono su coetanei; 2) traffico di droga, estorsioni, rapine, in case o locali pubblici, sono invece reati commessi da un secondo tipo di gang, più diffusa nelle regioni del Sud Italia, che di frequente ha legami con organizzazioni criminali; 3) Più diffuso nel Centro-Nord è, invece, un terzo tipo di banda giovanile che si ispira a gang criminali estere, composto prevalentemente da ragazzi stranieri, di prima o seconda generazione, non integrati a livello sociale; 4) il quarto e ultimo tipo di baby gang è caratterizzato da una struttura definita e dalla gravità dei reati commessi pur non avendo legami con la criminalità.
Raramente in sede giudiziaria è riconosciuto il reato di “associazione a delinquere”. La misura di recupero più applicata è “la messa in prova”, che prevede la “presa in carico” dei ragazzi da parte dei “servizi sociali”, i quali decidono i percorsi di recupero di concerto con le famiglie (laddove è possibile) e con la scuola.
Se il periodo di “messa in prova” si conclude positivamente il processo a loro carico viene estinto, al contrario, se i ragazzi violano le disposizioni stabilite sono processati con applicazione della pena. Nel caso in cui le famiglie non siano di supporto, i minori vengono ospitati in comunità di accoglienza, oppure, nel caso in cui facciano anche uso di sostanze stupefacenti, da comunità terapeutiche.
Il fenomeno evidenzia la necessità di un approccio integrato alla “devianza giovanile” che tenga conto degli aspetti famigliari, sociali, antropologici, psicopatologici. Una efficace strategia di prevenzione di tale forma di “devianza” richiederebbe la promozione, da parte delle istituzioni, di iniziative didattiche, sociali, culturali, sportive e religiose, educazione alla “legalità”, nonché prospettive occupazionali, creando “reti di orientamento” per indirizzare i minori verso un impegno civico che eserciti una forza attrattiva.
In conclusione, va sottolineato che la maggior parte dei giovani si integra nei vari ambiti della società, purtroppo per quelli che scelgono la “devianza”, soprattutto criminale, dispiace definirli “gioventù bruciata”.