di ANTONIO SPOSITO
Tutto si è compiuto! Manca soltanto la “resurrezione” così la beatificazione sarà completa.
La morte di Berlusconi è stata celebrata mediaticamente attraverso cerimonie mistiche di tipo politico-religioso nel ricordare i suoi “miracoli” (la moltiplicazione dei posti di lavoro, stiamo ancora aspettando quel milione promesso), la persecuzione e la “via crucis” (indagini e processi cui è stato sottoposto) dai quali si è rialzato, per andare incontro al sacrificio salvifico sublimato dalla dipartita.
Quello che colpisce di più della vicenda “morte di Berlusconi”, e la conseguente proclamazione del lutto nazionale, è lo stupore evidenziato da una parte dell’opinione pubblica e del mondo politico nei confronti del dissenso espresso da alcuni nel celebrare di seguito: un colluso di mafia che ha costruito Milano 2 grazie ai fondi concessi dal padre Luigi Berlusconi, impiegato alla Banca Rasini di Milano (promosso poi a procuratore con diritto di firma e infine a Direttore Generale), la quale custodiva i soldi dei mafiosi Calò, Riina, Provenzano, nonché del faccendiere Sindona; un compulsivo sessuale coinvolto con minorenni nello svolgimento delle sue cariche istituzionali; un pregiudicato condannato per il Lodo Mondadori, cui Craxi con un famoso decreto e la Legge Mammì ha regalato le frequenze radiotelevisive.
Considerando che gli unici casi di proclamazione del lutto nazionale, da non confondere con i funerali di Stato, hanno riguardato la morte di Giovanni Leone e di Carlo Azeglio Ciampi, la scomparsa di Papa Giovanni Paolo II, il ricordo delle vittime della strage di Nassiriya o di disastri naturali, va evidenziato che Berlusconi è il primo premier a non aver ricoperto anche la carica di Capo del Quirinale cui è stato concesso tale onore. Neanche a Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, tanto per citare alcuni fulgidi esempi civici che hanno pagato con la vita la loro rettitudine e la fedeltà allo Stato, è stato concesso.
Ennesima pagina di una vergogna tutta italiana.
Dal punto di vista sociologico l’aspetto su cui va posto il focus analitico non è l’agire del singolo individuo Berlusconi ma sul “consenso” politico ed elettorale, ripetuto e prolungato, ricevuto negli ultimi decenni da buona parte dei cittadini italiani che lo hanno legittimato al potere. In ogni regime, che sia democratico o dittatoriale, gli esponenti politici necessitano del “consenso”, il cui ottenimento è il fine e anche il mezzo per controllare, manipolare le masse, e per riprodursi al potere.
Il “consenso” ottenuto da Berlusconi è di tipo trasversale perché proveniente da diversi strati della società, “sedotti” sia dalle caratteristiche del personaggio, che ha fuso la sua dimensione pubblica con quella privata, sia dal suo impero mediatico. Proprio tale trasversalità rende il “consenso” di tipo “populista”. La commistione berlusconiana tra pubblico e privato ha dissacrato una delle conquiste liberali fondamentali delle rivoluzioni atlantiche borghesi (inglese, americana e francese), ossia, la separazione, appunto, tra la sfera pubblica e quella privata, contribuendo così alla distruzione degli ultimi trecento anni di storia tardo moderna e contemporanea. Tale deriva “populista” berlusconiana ha, di fatto, impoverito culturalmente e politicamente una buona parte della classe dirigente borghese, la quale ha abdicato ad una funzione essenziale: essere “corpo intermedio” mediatore tra cittadini e potere.
Commistione pubblico-privato sancita in via definitiva successivamente dall’avvento dei “social network”.
L’istrionismo del personaggio, il suo voler essere mattatore ad ogni costo, la sua generosità e le sue capacità relazionali, hanno confuso una cospicua parte di opinione pubblica che si è identificata nelle sue comuni fragilità esistenziali sentendolo affettivamente “vicino”, ciò ha rinfocolato l’indulgenza estesa anche alle gravi responsabilità istituzionali, offuscando altresì gli aiuti ricevuti da “amici” politici e mafiosi, il che ha alimentato la narrazione mitologica del “self made man”.
I cittadini, dunque, hanno delle responsabilità collettive nel concedere il “consenso”.
A tal proposito, tornano utili le considerazioni sviluppate dal filosofo tedesco Karl Jaspers al termine della Seconda Guerra Mondiale, raccolte in un esiguo ma essenziale volume pubblicato in Germania nel 1946, dal titolo “La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania”.
Tra le varie dimensioni della colpa individuate da Jaspers (criminale, politica, morale e metafisica), quella “politica” (ovvero la responsabilità di un popolo) è l’unica che deve essere considerata come collettiva mentre le altre sono soggettive. Jaspers sostiene che la “colpa politica”: «Consiste nelle azioni degli uomini di Stato e nell’essere cittadini di uno Stato […] Ciascuno porta una parte di responsabilità riguardo al modo come viene governato». Ciò vuol dire essere coinvolti in tutto quello che lo Stato decide ed applica, significa essere responsabili di aver sostenuto il governo col nostro voto concedendo il “consenso”: «Un popolo – sostiene Jaspers – è responsabile per la propria forma di governo», «Ogni cittadino è corresponsabile delle azioni che vengono commesse dallo Stato al quale appartiene». È evidente, quindi, che nel caso di specie i cittadini italiani che hanno sostenuto Berlusconi sono responsabili anche dei misfatti da questi consumati nel suo agire politico soprattutto se giustificati e non condannati.
Il nostro giudizio morale, sia chiaro, non riguarda l’insindacabile sfera privata, al netto di eventuali reati commessi, ma il Berlusconi esponente istituzionale della Repubblica Italiana. Ciò che produce l’ipocrisia è far passare questo uomo per ciò che non è mai stato, ossia, un “santo” e, al contempo, un grande statista.
In fin dei conti, non vi è nulla di male nell’ammettere serenamente, con un minimo di onestà intellettuale, che si può amare anche un pregiudicato e che lo stesso si può considerare amico nonostante tutto.
In fondo, al cuor non si comanda.