IL “MANAGEMENT DELLE RELAZIONI” COME STRUMENTO DI INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ SOCIALE

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di SIMONE PICARIELLO

Ogni relazione umana è una relazione sociale che si basa su sentimenti ma anche su passioni condivise, impegni sociali e professionali. Le relazioni che intercorrono tra individui nei sistemi territoriali orientano reciprocamente le loro azioni.

Le relazioni sociali hanno luogo in ogni contesto umano: dai rapporti di amicizia, alla famiglia a qualsiasi forma di aggregazione umana più complessa. E’ possibile individuare due principali tipi di relazioni: quelle “cooperative” e quelle “conflittuali”. Le prime, orientano l’azione verso il conseguimento di uno scopo comune e sono caratterizzate dall’apertura verso l’altro, percepito come alleato. Queste relazioni sono in genere di lunga durata, hanno intensità e ripetitività nel tempo, creano “capitale sociale”[1] e possono produrre sviluppo territoriale; le seconde, sono orientate verso il tentativo di affermare la propria volontà, le proprie opinioni o di accaparrarsi risorse scarse e limitate a dispetto di altri attori sociali. Tali relazioni riducono il “capitale sociale” creando condizioni di stallo territoriale.

Nella dimensione astratta, la relazione è intesa in due modi: come “riferimento a” (refero) o come “legame tra” (religio). Secondo la “Sociologia relazionale” di Pierpaolo Donati[2], entrambi questi due aspetti relazionali (Refero e Religio) entrano nel fenomeno sociale, anzi sono parte della stessa costruzione simbolica e strutturale. Di conseguenza, la relazione sociale è il tramite che unisce l’”azione sociale” – nelle componenti “soggettività” e “intersoggettività” – al sistema sociale, corrispondente alla struttura oggettiva e oggettivata.

La relazione sociale deve essere concepita non come una realtà accidentale – secondaria o derivata da altre entità (individui o sistemi) – bensì come realtà propria. Lo studio delle dinamiche delle relazioni all’interno del sistema sociale è fondamentale per la sopravvivenza stessa delle organizzazioni.

Il punto chiave è la “complessità”, la gestione delle relazioni richiede, rispetto agli input esterni, la cooperazione sul piano territoriale. Tale circostanza richiede ulteriori strumenti interpretativi per decodificare e comprendere la società in cui si vive. Saper ridurre la “complessità” – come insegna Niklas Luhmann[3] – è indispensabile per mettere in relazione se stesso sia con gli altri membri presenti nel proprio ambiente, sia con sistemi ed organizzazioni esterni.

Tradurre una situazione indecifrabile in una più semplice attraverso il “senso”[4], significa saper mediare, negoziare. Tutto ciò per gli “attori sociali” coinvolti nelle organizzazioni, piccole o grandi che siano, è di fondamentale importanza. La capacità di negoziazione, necessaria per raggiungere obiettivi condivisi e generare benessere sociale sul territorio, diventa un architrave di sopravvivenza per le stesse organizzazioni che sono parte dei contesti. Il problema resta l’intenzione e la volontà di scegliere di cooperare con altri enti, avendo come fine il benessere territoriale.

La domanda di fondo è: “Come favorire l’attivazione di processi fiduciari e di cooperazione sul piano locale, da poter incrementare la conoscenza e la capacità di gestire processi relazionali con e tra gli enti?”

La risposta sta nel creare processi di “management delle relazioni sociali”, tali da implementare lo sviluppo territoriale. Studi recenti hanno mostrato che la cooperazione ben riuscita genera innovazione e benessere sociale e che il “management delle relazioni” tra gli enti territoriali è uno strumento efficace e necessario per svolgere in modo responsabile e consapevole incarichi di leadership, tali da produrre innovazione, sostenibilità e cambiamento sociale.

Per comprendere meglio tale circostanza possiamo evocare l’immagine di un bivio, che può portare a scelte di strumenti operativi diversi. Un pezzo di strada è comune: le relazioni fra P.A. (Pubblica Amministrazione) ed Enti di Terzo Settore sono ispirate ai principi di perseguimento dell’interesse pubblico, di efficacia, di trasparenza, di parità di trattamento e, più in generale, di buon andamento della P.A. (come recita l’articolo 97 della Costituzione). Ma da lì in avanti per gli Enti Pubblici e il Terzo Settore si aprono due strade relazionali alternative.

Da un lato, abbiamo il “paradigma competitivo”, ovvero l’affidamento di servizi verso un fornitore e, quindi, una competizione tra soggetti concorrenti. Il percorso è sicuramente quello dell’affidamento attraverso una gara di appalto o concessione; dall’altro lato, abbiamo il “paradigma collaborativo” (in base alla legge 241/90),[5] che include negli orientamenti delle Politiche Pubbliche le risorse del territorio. Ciò significa dare vita ad un lavoro comune tra Enti Pubblici e Enti di Terzo Settore per condividere la lettura dei bisogni, definire gli obiettivi, elaborare la programmazione degli interventi, individuare le risorse necessarie, per giungere poi alla progettazione e infine alla realizzazione dei concreti interventi da attivare.

Quanto sopra descritto rappresenta lo scenario generale, ma attualmente nella pratica quotidiana emergono due fenomeni che seppur diversi tra loro sono concatenati:

  • Il primo è la “co-progettazione”. Negli ultimi anni il numero di territori che hanno iniziato ad utilizzare procedimenti di tipo collaborativo è aumentato. Questo avviene perché, oltre all’influenza delle novità legislative (Legge 328/00 e successive leggi di implementazioni regionali – in Campania l. r. 11/07, la riforma del Terzo Settore, ecc.), vi sono diverse motivazioni che riguardano le dinamiche culturali e sociali;
  • Il secondo è la “collaborazione”, la quale nasce spesso come frutto di un’iniziativa assunta o comunque voluta dalla Pubblica Amministrazione. In passato, il Terzo Settore rivendicava maggior considerazione da parte di un ente pubblico riluttante. Gli elementi che caratterizzano la collaborazione sono il condividere analisi e soluzioni. La lettura del bisogno, del contesto e la definizione delle modalità di intervento non sono operati da un singolo soggetto (generalmente dalla Pubblica Amministrazione istituzionalmente responsabile) ma sono frutto di uno sforzo congiunto di più soggetti che si contaminano vicendevolmente con le proprie visioni e sensibilità. La collaborazione porta a innovazione sociale e corresponsabilità sui servizi e sul reperimento delle risorse per realizzarli tra Ente Pubblico e Terzo settore. Cosa ancor più importante è che la collaborazione si traduce in costruzione di “capitale sociale”, il quale diventa un patrimonio di relazioni, di fiducia, di legami, che seppur sperimentati in un certo ambito, risultano preziosi anche in altre situazioni. Modelli di “management delle relazioni” portano sicuramente una maggiore propensione a fare sistema con gli attori presenti su un determinato contesto territoriale.

[1] Il sociologo francese Pierre Bourdieu ha definito il “capitale sociale” come «La somma delle risorse, materiali o meno, che ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a una rete di relazioni interpersonali basate su principi di reciprocità e mutuo riconoscimento”

[2] La tesi di Donati è che la Sociologia, in quanto disciplina teorico-pratica, dovrebbe connettere fra loro i diversi paradigmi sociologici e pervenire così a modalità più profonde e meno riduttive di comprensione e spiegazione del mondo socio-relazionale umano.

[3] Per Luhmann la “complessità” è data dalla numerosità dei sistemi in cui si articola la società. Ogni sistema è autopoietico e autoreferenziale, differenziati al loro interno in sottosistemi dotati di un proprio codice comunicativo che generano difficoltà relazionali.

[4] La “complessità” viene affrontata da Luhmann attraverso il concetto di “senso”. Per ridurre la “complessità” sono introdotte scelte differenti che implicano il tenere sempre presenti le possibili alternative.

[5] La legge 241/1990 che regola il procedimento amministrativo ha trasformato il rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione, vincolando quest’ultima al rispetto di alcune regole fondamentali nel perseguimento dell’interesse collettivo.

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