di MARA PRINCIPATO
L’origine della “Gruppoanalisi” è da rintracciare negli anni della Seconda Guerra Mondiale tra il 1942 e il 1946, quando Psichiatri e Psicoanalisti, furono chiamati a prendersi cura, nell’ospedale militare di Northfield (Inghilterra), dei reduci di guerra affetti da disturbi di natura psichica.
S. H. Foulkes e W. R. Bion, nel tentativo di curare gruppi di soldati affetti da nevrosi di guerra, hanno raccolto e raccontato le loro esperienze, rispettivamente in “Introduzione alla psicoterapia gruppoanalitica” ed in “Esperienze nei gruppi”. Ambedue lavorarono a Northfield in periodi diversi. Quando arrivò Foulkes, Bion aveva già portato a termine la sua sperimentazione (I° esperimento) che durò sei settimane, attraverso la quale i pazienti acquisirono notevoli capacità di autocritica e autogestione, lavorando assieme contro il nemico comune identificato nella “nevrosi”.
Foulkes con il suo II° esperimento durato nove mesi, introdusse all’interno dell’ospedale la “terapia di gruppo” orientata a ristabilire il morale dei pazienti. Lo stesso gruppo si trasformò gradualmente in una comunità responsabile autogovernata. Bion e Foulkes notarono che all’interno di tali “setting” si svilupparono in modo naturale aspetti relazionali ed emotivi particolari (processi dinamici di gruppo), che opportunamente utilizzati rendevano più efficace e flessibile il processo terapeutico.
Foulkes nel suo libro afferma che: “A Northfield ho potuto praticare e osservare l’approccio gruppale in situazioni di vita non organizzate e spontanee, vita cioè di pazienti soldati in un ospedale militare; liberi gruppi semiorganizzati, in ogni sorta di condizioni, messi insieme in seguito alla loro casuale partecipazione ad una particolare forma di occupazione o attività”.
L’EVOLUZIONE NEI PERCORSI DI STUDI EFFETTUATI DA FOULKES E BION
Le osservazioni psicologiche effettuate sui reduci di guerra hanno condotto alla formulazione del “Disturbo da Stress Post-Traumatico” (DSPT) e allo sviluppo degli attuali criteri diagnostici. L’avvento delle guerre mondiali fece balzare prepotentemente all’attenzione della clinica le “nevrosi di guerra”.
L’incidenza dei casi fu messa in relazione al cambiamento delle tecniche di combattimento rispetto ai tradizionali scontri degli schieramenti di fanteria o cavalleria. Il I° conflitto mondiale introdusse le tecniche della guerra di trincea, caratterizzate da attese estenuanti e dal pericolo dei bombardamenti, condizioni correlate all’insorgere di nuovi disagi maggiormente incidenti sull’equilibrio psichico.
La conoscenza dei meccanismi relativi alla “fisiologia dello stress” consente oggi di comprendere come il blocco delle naturali strategie neuromotorie, connesse alla percezione del pericolo, sia responsabile dell’innesco dell’“iperarousal”, da collocare all’interno di un circuito neurofisiologico che conduce all’esaurimento delle risorse e all’instaurarsi nel soggetto di uno stato di impotenza e perdita di capacità di azione.
La vulnerabilità e l’impotenza nel porre strategie di fronteggiamento nei riguardi degli stimoli esterni “stressogeni” comporta la sensazione di ‘“incontrollabilità degli eventi”, la quale causa il processo dissociativo come ultima possibilità di fuga quando ogni altra via è impraticabile. E’ un processo che va nella direzione opposta a quella di stabilire nessi fra il proprio Sé e ciò che ci circonda. Quando l’intensità di un evento sovrasta la possibilità di essere contenuto, la mente disarticola i nessi e i contatti attraverso l’alterazione del sistema Percezione-Coscienza che li presiede.
IL RUOLO DEL CONDUTTORE NELLA GRUPPOANALISI
Nella “Gruppoanalisi” il ruolo e lo stile del conduttore è fondamentale per esaltare le capacità psicoterapeutiche del gruppo, lo stesso conduttore ha il compito di attivare e alimentare il processo di comunicazione tra i membri, condizione che favorisce anche la crescita individuale. Egli agisce come fosse un membro del gruppo, non persegue il potere, “sta con un piede dentro e uno fuori”, è un “primus inter pares” (primo tra pari), la sua è una “osservazione partecipata”, che facilita, attraverso attività dialoganti, la costruzione di una leadership di gruppo (“gruppi senza leader”). Il conduttore, in possesso anche di predisposizioni e caratteristiche innate, è in grado di applicare l’analisi individuale e di gruppo, rimuovendo eventuali limiti o le restrizioni che possono costituire ostacolo al trattamento gruppoanalitico.
Foulkes in “Introduzione alla psicoterapia gruppoanalitica” elenca i principali compiti del conduttore e li divide in:
- svezzare il gruppo dall’essere guidato;
- astenersi dagli argomenti preordinati, dai programmi o dalla discussione sistematica;
- rimanere, come persona, distaccato, sullo sfondo;
Nessuna esperienza traumatizzante può essere accolta positivamente da chi l’ha vissuta. Le potenziali implicazioni evolutive che ne derivino rappresentano il frutto di un processo di elaborazione e trasformazione terapeutica. La spinta alla crescita non attiene al trauma ma agli interventi attivati per “digerirlo” che agiscano sulle risorse profonde di cui la psiche dispone.
Si può allenare un soldato a modificare la propria bilancia di gestione dello stress attraverso strategie addestrative e tecniche mirate al maggior controllo delle reazioni, ma non si può allenare nessuno a modulare la propria reazione di fronte ad un trauma, ciò anche per l’incontrollabilità e l’imprevedibilità dello stesso evento traumatogeno. Le reazioni a un’esperienza traumatica sono considerate inevitabili, quello che può variare è l’intensità e la durata.
I sintomi più frequenti in un soldato vittima di “Stress Post Traumatico” sono: ipervigilanza, difficoltà di concentrazione, stress, attacchi di panico, depressione, rabbia, tachicardia, difficoltà relative al sonno e, nei casi più estremi, finanche il suicidio. Lo stress, in un certo senso, fa parte delle “regole di ingaggio” del militare, il trauma, invece, non è declinabile in termini operativi, poiché è l’esito di un processo psicopatogenetico implosivo che incastra eventi e mondo interno.
Il fallimento di ogni strategia di difesa colloca la persona nell’area della sofferenza psichica, è, dunque, fondamentale, per prevenire e attenuare il DSPT a salvaguardia del “diritto alla salute”, il riconoscimento di una condizione clinica, ponendo attenzione alla diagnosi e alla rilevazione epidemiologica.
IL DISTURBO DA STRESS POST TRAUMATICO OGGI
In seguito alle Missioni Operative in Iraq, Afghanistan, Syria e in Libia, i reduci in italiani affetti da DSPT sono all’incirca 300. Il problema è che non esistono dati precisi e, cosa ancor più triste, non è prevista alcuna assistenza psicologica per i soldati che ne sono affetti. Infatti, i richiedenti assistenza hanno ricevuto un diniego dai superiori, altri hanno paura a reclamarla perché temono ripercussioni per la loro carriera.
Il Comitato Tecnico Scientifico istituito dallo Stato Maggiore della Difesa per lo studio dei Disturbi Mentali del Personale Militare sta lavorando alla costruzione di linee guida che comprendono i criteri per la diagnosi dei disturbi traumatici e delle espressioni psicopatologiche in ambito militare. E’ stata predisposta una scheda di rilevamento di evento psicotraumatico che, una volta operativa, consentirà il miglioramento del flusso informativo e faciliterà la diagnosi categoriale dei disturbi mentali correlati al trauma.
L’obiettivo è la costruzione di un unico protocollo diagnostico a livello interforze, basato sulle codifiche internazionali ad uso delle strutture sanitarie militari.