di MARA PRINCIPATO
Ugo Russo era un 15enne. Il 1 marzo 2020 ha perso la vita tentando di rapinare un giovane carabiniere 23enne fuori servizio, il quale stava per trascorrere la serata in compagnia della sua fidanzata.
La vittima della rapina aveva parcheggiato in via Generale Giordano Orsini del quartiere Santa Lucia a Napoli, quando venne aggredito da Ugo Russo. Lo stesso, in compagnia del suo complice 17enne, puntando una pistola alla tempia del militare (in seguito si è appurato fosse un’arma giocattolo), gli intimò di consegnare l’orologio Rolex che aveva al polso. Il giovane carabiniere reagì sparando, causando la morte di Ugo sopraggiunta qualche ora dopo presso l’ospedale Pellegrini a causa delle ferite riportate.
Quanto è avvenuto subito dopo la morte del baby rapinatore è balzato agli onori della cronaca nazionale, poiché famigliari e amici (all’incirca un centinaio), radunatisi al Pronto Soccorso dell’Ospedale Pellegrini, spinti dalla rabbia, hanno distrutto un bene pubblico posto al servizio della comunità, minacciando e mettendo in fuga gli operatori sanitari che ogni giorno si adoperano per la nostra salute. Successivamente gli stessi hanno effettuato una “stesa”, ossia, una azione violenta di intimidazione, consistente nell’attraversare velocemente a bordo di motorini le vie di determinate zone cittadine, esplodendo colpi d’arma da fuoco contro la Caserma Pastrengo dei Carabinieri dove si trovava il giovane militare in stato di fermo.
Il padre di Ugo, Vincenzo Russo, già noto alle forze dell’ordine – come da lui stesso dichiarato nel corso di un’intervista effettuata da Giulio Golia nel programma Mediaset Le Iene, andata in onda su Italia l’1 e il 3 marzo 2020 – ha scontato diversi anni di carcere asserendo di non volerci più tornare. L’uomo, nel corso di vari programmi televisivi e sui canali social, ha definito una “bravata di gioventù” quanto commesso dal figlio, sostenendo che andava punito non “giustiziato”, secondo il suo punto di vista e quello della famiglia è il carabiniere che ha sbagliato togliendo la vita ad un ragazzino.
Su questa tesi è stato fondato il Comitato “Verità e giustizia per Ugo Russo” che ha organizzato cortei e manifestazioni per supportare la causa, realizzando anche un murales a lui dedicato divenuto oggetto di discussione poiché inneggiante ad un senso di giustizia contorto. Il murales è stato coperto dallo stesso Comitato in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato che ne ha confermato la rimozione l’8 febbraio 2023.
I modelli antropologici delle persone residenti in quartieri difficili sono stati spesso oggetti di studio, i quali hanno evidenziato come una parte del cosiddetto “popolino napoletano” celebra, giustifica ed inneggia al malaffare santificando chi muore commettendo atti illeciti.
Quello che ulteriormente rattrista questa ricerca di giustizia e verità sulla morte di Ugo è stato il sostegno della sezione di “Non Una di Meno” sezione di Napoli, a mezzo Pagina Facebook, la quale ha dedicato alcuni post ospitando il padre del ragazzo ad incontri ed eventi ufficiali.
In un post del 2 luglio 2020 si rimarca la mancanza di parole di comprensione da parte dei media nei confronti di Ugo e della sua famiglia: ”Per i giornali e per molte persone è stato sufficiente sapere che Ugo era nato a Napoli, nei quartieri spagnoli, e che in quel momento aveva in mano una pistola giocattolo, per emanare una sentenza di condanna senza appello.”
È impensabile che una Pagina Facebook nata per sostenere le donne che hanno subito violenza arrivi a giustificare tali stili criminali di vita. Il paradosso è che la notte del decesso di Ugo all’interno dell’Ospedale Pellegrini era ricoverata Irina Maliarenko, vittima di abusi da parte del marito, deceduta durante il barbaro assalto da parte dei familiari del rapinatore che hanno devastato il pronto soccorso. Irina è morta nell’indifferenza totale con fegato e milza spappolati e “Non una di meno Napoli” prende le difese di Ugo e della sua famiglia piuttosto che occuparsi della causa per cui è nata.
Il padre di Ugo, Enzo Russo, ha asserito più volte che “Il vivere di notte fa parte della nostra cultura in quanto a Napoli funziona così”.
A quale cultura si riferiva? Forse a quella criminale che ha costituito un modello di vita per il figlio. Quella notte per Ugo era la seconda rapina commessa, dato che gli inquirenti hanno trovato un altro orologio di lusso nelle sue tasche e una collanina d’oro. In più, c’è da ribadire che in data 17 aprile 2021 la nonna materna di Ugo (Patrizia De Luca di anni 65) e due dei suoi figli Pasquale e Gennaro Mancini, sono stati arrestati per spaccio di cocaina, questo ultimo già attenzionato nell’inchiesta per la devastazione dell’Ospedale Pellegrini.
Sono questi i modelli culturali cui si riferisce il padre del rapinatore morto?
La città di Napoli è contornata da murales e altarini dedicati ai baby rapinatori, secondo le stime sono almeno un centinaio questi omaggi alla malavita da rimuovere. Il murales dedicato a Ugo è diventato addirittura oggetto di pellegrinaggio. Infatti, a giugno 2021 amici e parenti di Emanuele Burgio provenienti dalla Sicilia hanno incontrato il padre tra baci e abbracci, immortalati in un video pubblicato su Tik Tok, dove si rende omaggio alla memoria sugellando così un gemellaggio. Emanuele era il figlio del boss Filippo Burgio (cassiere del clan), coinvolto circa dieci anni fa nell’operazione “Hybris” e condannato per mafia con sentenza definitiva, ucciso il 30 maggio 2021 alla Vucciria, mercato storico di Palermo. Il delitto è avvenuto in seguito a una lite per futili motivi.
L’8 febbraio 2023 si è tenuta l’udienza preliminare inerente al processo sulla morte di Ugo, in cui è stata formalizzata la richiesta di imputazione da parte della Procura di Napoli per omicidio volontario aggravato nei confronti del carabiniere, il quale è stato rinviato a giudizio in data 23 maggio 2023 dal GUP di Napoli Tommaso Perrella che ha confermato l’accusa.
Foto fonte Facebook “Non Una di Meno – Napoli” e “Verità e giustizia per Ugo Russo”