L’IMPATTO AMBIENTALE DELLA GUERRA IN UCRAINA

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di ELISABETTA FESTA

Quando parliamo della guerra, come, ad esempio, quella in Ucraina, il primo pensiero è rivolto alle vittime che provoca, alle migrazioni di intere popolazioni, alla creazione di campi profughi che generano problemi di povertà, igiene e salute.

La povertà induce le migrazioni e le disuguaglianze sociali che innescano disordini civili. Il dramma e il danno umano ed economico della guerra incide nel presente e nel futuro di intere popolazioni. La guerra in Ucraina ci allontana dal concetto di umanità che pensavamo di aver raggiunto, almeno in Occidente.

Tra gli impatti devastanti della guerra ci sono anche quelli che ricadono sull’ambiente, sull’ecosistema naturale, i quali purtroppo non finiranno con il cessate il fuoco. Ad esempio, il movimento e l’utilizzo di mezzi militari annienta interi habitat ed ecosistemi che non potranno più essere ripristinati. Vengono distrutti coltivazioni e campi, prati e zone boschive, piante e animali, fiumi, laghi, mari ed oceani.

L’Ucraina era già attenzionata dall’OMS come uno dei Paesi più inquinati d’Europa (ricordiamo il disastro di Chernobyl 26 aprile 1986), pari a quelli fortemente industrializzati, con una media annua di concentrazioni di PM (Particolato) 2.5 doppia rispetto ai limiti di legge. In particolare la regione del Donbass è al centro di una catastrofe ambientale iniziata già nel 2014. Stime recenti evidenziano che in questo territorio martoriato dalla guerra sono già stati distrutti oltre 500mila ettari di ecosistemi, il 20% delle aree naturali protette e 3 milioni di ettari di foreste, mentre altri 450mila ettari si trovano in zone occupate o interessate dai combattimenti.

Uno dei principali impatti ambientali della guerra è l’aumento dell’inquinamento dell’aria e del suolo.

Per quanto concerne l’aria si risconta un significativo aumento della concentrazione di anidride carbonica nella atmosfera e un incremento delle polveri sottili: “Le stime ci dicono che un mese di guerra tra Russia e Ucraina  ha portato ad emissioni di anidride carbonica nell’aria pari a quella emessa in un intero anno da città come Bologna o Firenze”. Le esplosioni rilasciano, oltre all’anidride carbonica, un cocktail di composti chimici tra cui ossidi di zolfo e di azoto che provocano piogge acide, le quali modificano il ph del suolo “bruciando” la vegetazione, soprattutto delle conifere.

Per ciò che è inerente al suolo vi è da dire che le macerie accumulate contengono sostanze acide tossiche che permeano il suolo. Nel medio e lungo periodo i metalli accumulati, se non smaltiti, passano nelle falde acquifere rese non più potabili.

Altro ingente danno che la guerra provoca a livello ambientale è il notevole consumo di risorse energetiche da fonti fossili. Petrolio e gas sono consumati in grandi quantità dai mezzi militari. Un carro armato leggero consuma 300 litri di combustibile per 100 chilometri e immette oltre 600 Kg di CO2 in atmosfera, un aereo caccia F-35, che utilizza oltre 400 litri di carburante ogni 100 chilometri, ne immette circa 28.000 chilogrammi per ogni volo.

Purtroppo le emissioni militari di “gas serra” non sono conteggiate nei trattati internazionali sul clima come il COP26 e, pertanto, l’inquinamento risulta essere sottostimato a livello mondiale. Per tale motivo l’”Osservatorio sui Conflitti e l’Ambiente” (Conflicts and Environment Observatory) ha promosso una raccolta firme per convincere i Governi a ridurre le emissioni militari di “gas serra”.

In questi anni di riscaldamento globale, cambiamenti climatici e pandemie servirebbe denaro da investire per preservare, proteggere e ricostruire, non certo per finanziare le guerre. Sarebbe, quindi, auspicabile la riduzione delle spese militari, invece, la Commissione Europea considera sostenibile il comparto della Difesa, classificato come ESG (Environmental, Social, Governance), facendolo rientrare in piani di riqualificazione e finanziamento. Molti cittadini e associazioni si sono attivati per richiedere che le spese militari siano classificate come “socially harmfull”, ovvero, socialmente dannose.

In conclusione, stiamo assistendo ad un vero e proprio corto circuito delle istituzioni mondiali, che da un lato attivano pratiche e fondi per arrestare l’inquinamento dell’ecosistema globale, dall’altro finanziano guerre il cui impatto ambientale è devastante.

(Fonti dati: icona clima, Greenpeace)