L’ORRORE E LA VERGOGNA: IL “VITTIMISMO STORICO” DI ISRAELE

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di ANTONIO SPOSITO

Le tensioni tra Israeliani e Palestinesi sono complesse, hanno radici storiche, religiose e politiche profonde che nascono da questioni territoriali, di sicurezza, di identità nazionale. Dal 1948 anno di costituzione dello Stato di Israele si sono succeduti vari episodi di violenza e conflitti. 

I bollettini di guerra narrano di uccisioni di civili inermi, donne, bambini, anziani, per cui, è di palmare evidenza che Israele sta perpetrando discriminazioni, violazioni dei Diritti Umani, fino ad arrivare al genocidio. 

Allora viene da chiedersi chi più degli Israeliani, degli ebrei che hanno vissuto l’Olocausto, può comprendere cosa vuol dire subire violenze inenarrabili? E’ paradossale eppure le vittime di un tempo si sono trasformate in carnefici senza empatia. Per analogia è un po’ come succede in molti casi di pedofilia allorquando il bambino abusato da adulto si trasforma a sua volta in persecutore di altri bambini.

La situazione israelo-palestinese è delicata, suscita intense discussioni a livello internazionale. L’ONU ha espresso preoccupazione per le violazioni dei diritti umani commesse da entrambe le parti, ma ha sottolineato in particolare l’impatto sproporzionato delle operazioni militari israeliane sui civili palestinesi. Inoltre ha richiesto la cessazione delle attività di insediamento, la condanna del blocco di Gaza, sostenendo una soluzione negoziata basata sulla coesistenza di due Stati. Tuttavia, l’efficacia delle risoluzioni e delle iniziative dell’ONU è spesso limitata dalla mancanza di consenso internazionale soprattutto da parte delle Gran Bretagna e degli USA, le due potenze che dopo la II Guerra Mondiale hanno imposto in quel territorio la costruzione dello Stato di Israele e non di quello palestinese.

Il concetto di “vittimismo storico”, pertanto, si riferisce a un atteggiamento per il quale un gruppo o una nazione continua a percepirsi come vittima di ingiustizie. Nel caso di specie, Israele accompagna il suo “vittimismo” con una una narrativa che enfatizza il passato di sofferenze e persecuzioni come giustificazione per le azioni azioni politiche e militari intraprese nei confronti dei Palestinesi e non solo, confondendo il legittimo diritto alla difesa con quello illegittimo dell’aggressione.

Ancora oggi, persino a livello mediatico, chi critica le decisioni del governo israeliano è tacciato, in malafede o per ignoranza, di avversione tout court per Israele e per gli ebrei, rischiando di essere bellamente accusato di antisemitismo. Pertanto, giacché si confonde l’appartenenza politico-amministrativa inerente alla cittadinanza con quella religiosa, considerato che Israele viene definita l’unica democrazia del Medio Oriente, resta il dubbio se effettivamente sia uno Stato laico o una teocrazia. Per intenderci, è come confondere l’essere italiani con l’essere cristiani.

Per estrema chiarezza, che l’Olocausto sia stata la più grande aberrazione della storia umana è fuori discussione. Sono accaduti però altri genocidi che non hanno ricevuto la stessa enfatizzazione storica e mediatica: Herero e Nama (1904-1908, perpetrato dalle forze coloniali tedesche in Namibia), Armeni (1915-1923), Cambogia (1975-1979), Rwanda (1994), Bosnia (1992-1995), Rohingya (2016-ancora oggi in atto, nei confronti della minoranza musulmana nello stato di Rakhine, in Myanmar, ex Birmania).

E’ notizia del 9 giugno 2024 che nella Striscia di Gaza altre 274 persone sono state uccise e centinaia rimaste ferite dalle forze israeliane nel corso del blitz che ha portato alla liberazione di quattro ostaggi in mano ad Hamas da parte dell’Idf (Israel Defense Force). Poche ore dopo sono scoppiate manifestazioni di protesta a Tel Aviv e in numerose città israeliane contro il governo Netanyahu chiedendone le dimissioni, sollecitando un accordo al fine di liberare gli altri ostaggi israeliani ancora prigionieri di Hamas. 33 le persone arrestate dalla polizia.

Anche Papa Bergoglio è sceso in campo. Ecco la sua dichiarazione all’Angelus: “La comunità internazionale agisca con ogni mezzo per soccorrere la popolazione di Gaza stremata dalla guerra. Gli aiuti umanitari devono arrivare a chi ne ha bisogno e nessuno lo può impedire”. Bergoglio ha anche ringraziato il Re di Giordania, il Presidente egiziano e il Segretario Generale Onu, per la conferenza organizzata per martedì 11 giugno 2024 in Giordania che verterà “Sulla situazione umanitaria a Gaza”.

L’analisi critica che segue esplora diversi aspetti delle politiche contestate ad Israele e le conseguenze che ne derivano, evidenziando i principali punti di discussione.

Insediamenti e colonizzazione

Una delle politiche più contestate è la costruzione di insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati, inclusa la Cisgiordania e Gerusalemme Est. Tali insediamenti sono considerati illegali dal Diritto Internazionale Umanitario. Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, i due Protocolli addizionali del 1977 e del 2005 proteggono le persone che non partecipano ad un conflitto armato. In particolare la Quarta Convenzione di Ginevra proibisce alla potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile nel territorio occupato. Tuttavia, il governo israeliano ha continuato ad espandere gli insediamenti, sostenendo che le terre in questione sono storicamente e religiosamente legate al popolo ebraico. La costruzione degli insediamenti ha portato all’esproprio di terre palestinesi creando una frammentazione del territorio che rende difficile la costituzione di uno Stato.

Blocco di Gaza

Il blocco imposto da Israele alla Striscia di Gaza (con il supporto dell’Egitto) iniziato nel 2007, dopo che Hamas ne ha preso il controllo, ha avuto conseguenze devastanti sulla popolazione civile, limitando l’accesso a beni essenziali, servizi sanitari e materiali da costruzione. Israele giustifica il blocco come misura di sicurezza necessaria atta a prevenire attacchi terroristici ma le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali lo considerano una sanzione che viola i Diritti Umani dei Palestinesi.

Violazioni dei Diritti Umani

Numerosi rapporti di organizzazioni per i Diritti Umani, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International, hanno documentato le violazioni da parte di Israele nei confronti dei Palestinesi, denunciando l’uso eccessivo della forza, detenzioni amministrative senza processo, demolizioni di case e restrizioni alla libertà di movimento. Queste pratiche, sempre giustificate da Israele in termini di sicurezza, sono criticate per la loro sproporzione e mancanza di responsabilità morale.

Processo di pace e soluzione dei due Stati

Israele è stato coinvolto in vari negoziati di pace con i Palestinesi ma il processo ormai da molti anni è in una situazione di stallo. La soluzione che prevede la creazione di uno Stato palestinese indipendente accanto a Israele è stata a lungo considerata l’opzione più efficace per una pace duratura. Tuttavia, la continua espansione degli insediamenti, insieme alle divisioni politiche interne sia tra gli Israeliani che tra i Palestinesi, ha reso questa soluzione sempre meno plausibile. Il fallimento nel raggiungere un accordo ha alimentato ulteriormente la frustrazione e la violenza nella regione.

Sicurezza e terrorismo

Nel corso degli anni Israele ha subito numerosi attacchi terroristici che hanno avuto un impatto significativo sulla strutturazione delle politiche di sicurezza, le quali prevedono barriere fisiche, posti di blocco e operazioni militari mirate. Mentre in alcuni casi tale misure hanno ridotto gli attacchi, in altri hanno causato gravi difficoltà alla popolazione civile palestinese, incrementando ulteriore risentimento e un senso di ingiustizia.

Conclusione

Le politiche israeliane avversative nei confronti dei Palestinesi sono generate da un mix multifattoriale relativo alla sicurezza, alle ideologie religiose finalizzate al consenso politico, le quali negano il rispetto dei Diritti Umani e violano il Diritto Internazionale. La mancanza di progressi verso una risoluzione pacifica ed equa del conflitto, che tenga conto delle legittime aspirazioni di entrambe le parti, alimenta la tensione e la violenza nella regione.

Il conflitto israelo-palestinese rimane una delle questioni più complesse e dolorose del nostro tempo, in cui si intrecciano storie di speranza e disperazione, di dolore e sofferenza. Il mondo, la comunità internazionale, non può restare inerte di fronte a tale immane catastrofe. Solo il dialogo, la comprensione reciproca e l’impegno incondizionato verso la pace spezzerà il ciclo di violenza. L’auspicio è che Israeliani e Palestinesi possano finalmente vivere fianco a fianco con dignità. Le ferite del passato e del presente non possono essere guarite con nuove violenze ma con il coraggio di riconoscere il dolore dell’altro nel costruire una convivenza civile.

 
 

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